Poesia – LA VITA E ANCORA LA VITA NEI VERSI INEDITI DI DANIELE MENCARELLI
Tra quelle della sua generazione (spiace dover parlare ancora per generazioni, ma del resto non ce ne serviamo a livello critico), quella di Daniele Mencarelli è una delle voci che ci convincono di più: per come sa attingere al reale, per come sa scendere nel profondo tentando non solamente una domanda ma anche una risposta, per quella classicità asciutta del verso che è tipica di chi vive al centro-sud e respira solamente – senza assorbirli, cioè – i minimalismi tanto di moda al centro-nord. Una classicità carnale, incarnata e dirimente se, come accade spesso nei versi degli scrittori di questo troncone d’Italia, ad essa si legano alcuni degli esiti migliori (penso a Rodolfo Di Biasio, a Leonardo Mancino – sebbene fosse marchigiano di nascita -, a Gianluca D’Andrea, a Nicola Bultrini, a Claudio Damiani, e ancor prima a Rocco Scotellaro, a Bartolo Cattafi, a Vittorio Bodini, a Francesco Tentori, etc.).
Dall’amico Daniele riceviamo, questa mattina, un estratto di inediti dalla raccolta cui sta lavorando alacremente e che si intitolerà Figlio. E’ una gradita conferma della vena buona dell’autore, leggerli. E una opportuna condivisione proporli su queste colonne.
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*
Il tempo ti rende figlio
accende la paura del domani
forze che si sfanno in un corpo non tuo
di vecchio arreso alla vestaglia
muto al terrore che niente rimanga.
Padre di luce e potenza
del sacro spendersi
in lavoro e poi lavoro
stringi le tue mani di gigante,
senti quanta ancora ne possiedi
di forza per viaggiare nel futuro,
nel bene che hai creato, un’alba alla volta.
*
Vigilia di Nicolò arrivi
piena d’agosto e luce
aria che avvampa sui paesi vuoti,
al nostro incontro poche ore
poi pelle toccherà pelle
al posto della tua immagine sognata
ci sarai tu in carne e aria,
d’improvviso vuota questa casa
dove s’attende il tuo respiro
il primo pianto d’amore al mondo,
che cominci tua vita nascitura
figlio dell’uomo rifai la mia storia.
*
Ecco la tua casa
i paesi che farai tua terra
ecco i visi di famiglia
ancora sfocati alla tua vista,
del mondo niente altro ti serve,
crescerai di stupore in scoperta
vedrai cose figlie all’universo
cose piccole con dentro un vento
da scoperchiare il petto,
come gli occhi di tua madre
innamorati suoi tuoi ancora ciechi.
*
Quando ridi
e sei tutt’uno con la gioia
niente che sia male esiste,
fremono nell’aria le tue braccia
afferrando invisibili cose
luci e ombre amiche
giocano con te in segreto
in una lingua vietata a ogni altro,
poi nuvole a coprire il sole
il buio che penetra la stanza
nere le pareti dove le tue mani
carezzavano il pulviscolo,
quello che non vedono i tuoi occhi
è il dolore, si chiama perdita.
*
Non ha volto la tua storia
né luogo dove ritrovarti,
nemmeno a darti un nome
abbiamo fatto in tempo,
tanto più è sofferta
nostro frutto la tua scomparsa
in questa nebbia senza terra
dove far crescere il ricordo,
tu solamente uno dei tanti
da alfa a omega senza mondo.
Eserciti di uomini mai nati
quale sterminata terra
vi tiene in grembo?
E di noi vostra carne
porterete vaga memoria?
Da questo stesso amore
come piaga nutrita dall’addio
sarete dominati fino al nostro incontro?
*
Scoprirlo da un telefono
che il demonio esiste,
ha la voce di un dottore
e nomi di malattie,
la sua lingua di fuoco
divora la casa,
deforma ogni cosa,
tu arrivi e riflesse
nei miei occhi vedi le fiamme.
Ora da buon maestro
parola infilzata a parola
a te madre unica specie
con il figlio che ci cresce
devo dare insegnamento.
Ad avvicinare al suo nome
la parola aberrazione.
(amnion)
*
È chiusa la finestra
dove t’affacciavi senza guardare,
qui la storia ha scavato
pozzo con nome di Pietro,
lo stesso ospedale,
appena un anno è passato,
qui dove ferocia del male
ha fatto vittima di un figlio
Viola vedrà il suo natale,
il suo giorno è arrivato
sarà festa e più sotto pianto
il vuoto del tuo primo compleanno.
*
Prima di lasciare l’ospedale
Viola esige il suo pasto,
occorre un angolo remoto
dove il ghiaccio a folate
non arrivi coi suoi attacchi,
quale forza guida la tua scelta?
Che ti siede materna regina
fra tutte sulla medesima sedia
dove ore e tragedia sfilarono
a maledire Dio e il suo creato,
è solo stravaganza del caso
che mi fa tenere figlia
fra le braccia come cristallo
dove mancanza di Pietro bestemmiava?
E se fossi Tu quale bene sai dare
a chi ha sfregiato il tuo nome?
Con quale disumano coraggio
restituisci dono e perdono
a chi ti ha bruciato nell’odio?
Troppo vasto il tuo cuore
che non sa resistere ai suoi figli
di Padre che tutto concede,
medesima sedia stessa la voce
che ora invoca e ringrazia.
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Daniele Mencarelli nasce a Roma, nel 1974. Vive ad Ariccia. Ha pubblicato quattro raccolte di poesie: I giorni condivisi, poeti di clanDestino, 2001, Bambino Gesù, Tipografie Vaticane,2001, Guardia alta, Niebo-La vita felice, 2005, e Bambino Gesù, edizioni Nottetempo, 2010 (vincitore del premio Città di Atri, finalista ai premi Luzi, Brancati, Montano, Frascati, Ceppo). Sue poesie sono apparse su diverse riviste letterarie, cartacee e on-line. È presente nelle antologie: L’Opera comune, Atelier; I cercatori d’oro, poeti di clanDestino, in Dieci poeti contemporanei, Pendragon e in “Nella borsa del viandante”, Fara editore. Da diversi anni si occupa di fiction a Rai Uno.
[…] poesie tratte da questo libro e altre da Figlio […]
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