Nothing that is not there and the nothing that is

Nuovo inizio – Recensione di Gisella Blanco per Poesia del Nostro Tempo

Gisella Blanco su Nuovo inzio, l’Arcolaio editore.

Nota di Gisella Blanco

Con il Nuovo Inizio, Gianluca D’Andrea (L’Arcolaio) celebra il rituale affascinante e macabro del movimento di condizioni esistenziali opposte, tipico dell’esistenza terrena. E lo fa proprio a partire dalla fine (o dalla sua ipotesi), spettacolare e ironicamente magnificata.
Il paesaggio prettamente industriale e metallico, robotizzato, sembra catapultare la vita in una esasperata dimensione meccanicistica, straniante eppure ancora filtrata da un io-osservatore (“spettatore e interprete”) che domina la percezione sul contesto attraverso una narrazione descrittiva delle cose e della propria reazione alle cose stesse.
La posizione di osservatore dell’io narrante sembra riprodurre l’umanissima (e ricorrente) smania contemporanea di assistere, vedere, conoscere, venire a conoscenza di più eventi possibile, in un contraddittorio vortice di suggestioni tra realtà, memoria e riproduzione/rielaborazione/immagazzinamento automatici dei fenomeni.
Se la mente umana prova a tendere al modello telematico per la gestione – perfino quella emotiva- dei dati empirici con cui entra in contatto, il lapsus è quel beneficio subìto malvolentieri che la mantiene imperfetta e, quindi, ancora animale.
Il lessico riproduce l’area semantica tecnico-industriale e scientifica, applicandola al sentire umano.
L’estraneità di cui è intrisa la percezione del soggetto palesa il trauma, la scissione dell’io dal sé nel mondo, anche se un mondo non appare definibile e individuabile.
L’essere umano ha ceduto (si è arreso? O approfitta dei benefici della resa?) all’alienazione e alla catastrofe della caduta degli dèi (qui apparentemente del tutto assenti), approcciando sé medesimo al proprio ambiente secondo relazioni non di realtà bensì di “verosimiglianza”: si compie un metateatro psichico in cui ogni cosa e ogni individuo potrebbe non esistere, in un “alibi collettivo” che elegge il disastro blanchottiano come salvezza destinale comune.

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