Le narrazioni (a cura di Daniele Greco) – Paolo Zardi, “XXI secolo”, Neo edizioni, 2015

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Paolo Zardi

di Daniele Greco

Paolo Zardi, XXI secolo, Neo edizioni, 2015

xxi-secolo-paolo-zardiNel racconto di Paolo Zardi, “L’amore reclinato”, pubblicato per l’antologia La vita sobria. Racconti ubriachi (Neo edizioni, 2014, a cura di Graziano Dell’Anna), il protagonista si ritrova all’improvviso da solo, lasciato dalla moglie scappata con un altro e, nella nuova condizione forzata di single, si ritrova nell’inferno di serate alcoliche trascorse da solo o con amici che non sanno fare altro che parlare di soldi e di lavoro. In una pagina memorabile il protagonista, imbesuito dai superalcolici e alla ricerca di una parola umana di consolazione da parte degli amici, subisce la sfrontatezza di uno di questi che, ignorandone la sofferenza e mostrando tutta la propria anaffettività, non trova niente di meglio che suggerirgli il nuovo business nel quale gettarsi a capofitto: quello della coltivazione dei funghi.
A partire da questo tema, l’epifania della disumanità dilagante di questi nostri tempi, il nuovo e più complesso romanzo di Paolo Zardi, XXI secolo (Neo edizioni, 2015), tenta di raccontare la vita di un uomo che di mestiere fa il rappresentante di depuratori d’acqua, ha due figli e vive in una provincia italiana, di un lontanissimo XXI secolo, sempre più fiaccato, desolato e apocalittico. Qui la classe media è quasi del tutto scomparsa e al suo posto si trovano delle consistenti masse di sottoproletari abbandonati a loro stessi, in quelli che un tempo erano quartieri residenziali, fatti di villette a schiere o palazzine moderne.
Fin dalle prime pagine, all’uomo accade di dovere fare i conti con l’ictus che colpisce Eleonore, la moglie, riducendola in coma. Da questo momento il marito tenta di tenere insieme i pezzi di una famiglia che rischia di sfasciarsi per sempre, anche perché alla malattia della donna si aggiunge la scoperta di un telefono cellulare che conteneva le prove evidenti dei tradimenti della moglie.
Ritratto con uno stile rapido ed essenziale, il protagonista del romanzo è un uomo anacronisticamente di buon senso, una sorta di sopravvissuto, la cui unica colpa è quella di ragionare per categorie che appaiono desuete. E una di questa categorie, forse la più importante del romanzo, è la memoria.
Nel tentativo dell’uomo di cercare a ritroso i dati empirici del suo fallimento di marito, la memoria finisce sul banco degli imputati. Il viaggio alla ricerca delle amicizie della moglie, prima, della sorella gemella di colei e della loro famiglia austriaca, dopo, non è un nastro da riavvolgere per ritrovare la prova tangibile di una crisi di coppia sottovalutata. La memoria è una costruzione arbitraria, che sottostà a quel continuo e proustiano “plagio di sé stessi”. E l’uomo, infatti, finirà per maledire proprio questo tentativo di afferrare una causa o una colpa, perché avrebbe dovuto solo guardare dentro sé stesso e non fuori, per decrittare la “storia che si era raccontato per anni”.
C’è una pagina in cui Zardi, nella finzione del romanzo, attribuisce al marito di Eleonore la ricerca in internet di alcune informazioni sui danni irreversibili, nella moglie, all’emisfero sinistro del cervello e all’area di Broca. Attraverso questa spia intertestuale, Zardi sta camuffando nell’opera le sue notevoli competenze di autentico scrittore, che possiede una profonda conoscenza scientifica. Nella fattispecie, con questo espediente – si veda il riferimento esplicito anche al caso clinico di Phineas Gage – egli allude tra l’altro alle scoperte in campo neuroscientifico del celebre neurologo e saggista Antonio Damasio, l’autore di L’errore di Cartesio (Adelphi, 1995).
Se Damasio ha chiarito i meccanismi di correlazione tra emozione e ragione, che hanno tolto il primato al cartesiano cogito ergo sum; l’intenzione ambiziosa del romanzo di Zardi è quella di mostrare come ci stiamo condannando a vivere in un mondo disumano e brutalizzato, in cui persistiamo a dimenticare – come il dostoevskiano uomo del sottosuolo – cosa siano la vita vera, le passioni e i desideri.
Gli anticorpi allo sfacelo sono a un passo da noi, ma a patto che li si sappia riconoscere non nel chiacchiericcio del proprio cervello, il quale conduce molto spesso a una ottundente cecità cognitiva, ma in tutto ciò che genera quell’afflato emotivo che persiste a renderci ancora umani. Come accade nel finale dolente del libro che, senza svelare nulla, è il momento più alto della presa di coscienza del protagonista.