Poesie dall’inizio – 30) Alighieri

Da questo inverno in piena primavera, dallo sconquasso di un sistema che implode su stesso, il labirinto di parole escogitato dal più grande, nel punto più profondo della sua perdizione (agganciato a Daniel, altro gigante). Tra colori che si mescolano e mutano le forme, nel gioco di luci e ombre che trasformano la percezione, siamo immessi sempre in un mondo nuovo – vita che si rinnova nel suo abisso – irraggungibile, per sempre.

P.S. questa è l’ultima poesia dall’inizio.

Gianluca


Poesie dall’inizio – 30) Alighieri

dante

Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra
son giunto, lasso, ed al bianchir de’ colli,
quando si perde lo color ne l’erba;
e ’l mio disio però non cangia il verde,
sì è barbato ne la dura petra
che parla e sente come fosse donna.
Similemente questa nova donna
si sta gelata come neve a l’ombra;
che non la move, se non come petra,
il dolce tempo che riscalda i colli,
e che li fa tornar di bianco in verde
perché li copre di fioretti e d’erba.
Quand’ella ha in testa una ghirlanda d’erba,
trae de la mente nostra ogn’altra donna;
perché si mischia il crespo giallo e ’l verde
sì bel, ch’Amor lì viene a stare a l’ombra,
che m’ha serrato intra piccioli colli
più forte assai che la calcina petra.
La sua bellezza ha più vertù che petra,
e ’l colpo suo non può sanar per erba;
ch’io son fuggito per piani e per colli,
per potere scampar da cotal donna;
e dal suo lume non mi può far ombra
poggio né muro mai né fronda verde.
Io l’ho veduta già vestita a verde,
sì fatta, ch’ella avrebbe messo in petra
l’amor ch’io porto pur a la sua ombra;
ond’io l’ho chesta in un bel prato d’erba,
innamorata, com’anco fu donna,
e chiuso intorno d’altissimi colli.
Ma ben ritorneranno i fiumi a’ colli
prima che questo legno molle e verde
s’infiammi, come suol far bella donna,
di me; che mi torrei dormire in petra
tutto il mio tempo e gir pascendo l’erba,
sol per veder do’ suoi panni fanno ombra.
Quandunque i colli fanno più nera ombra,
sotto un bel verde la giovane donna
la fa sparer, com’uom petra sott’erba.

(Dante Alighieri, Vita Nuova – Rime, Milano, 1965)

Poesie dall’inizio – 29) Grünbein

Nel vuoto che sembrano rischiare le trasformazioni effettuate dall’azione umana, risuona un’eco felbile, “anonima”, la quale, nel minimo denominatore che accomuna “tutto” e “io”, rischiara la presenza che ci unisce nel reale, in quel che accade perché non può non accadere (e infatti l’ironia esposta, anche attraverso la legge di Murphy, serve a sottolineare il ribaltamento dell’assenza in presenza: “Io c’ero…”).

Gianluca


Poesie dall’inizio – 29) Grünbein

grünbein

Sciocca domanda come si arrivò a questo.
Sbagliato il posto, sbagliato il momento
per un film muto intitolato Popolo.
Favorevole al vacuo era già l’aria,
il paese oltre la data di scadenza.
«Tutto, se può andar storto, storto andrà»
era un minimo denominatore, come
a conforto l’eco anonima «Io c’ero…»

(Durs Grünbein, A metà partita, Torino, 1999, a cura di Anna Maria Carpi)

*
Schwachsinn, zu fragen, wie es dazu kam
Es war der falsche Ort, die falsche Zeit
Für einen Stummfilm mit dem Titel Volk.
Die Luft war günstig für Vergeblichkeit,
Das Land weit übers Datum des Verfalls.
»Alles was schiefgehn kann, wird schiefgehn«
War noch der kleinste Nenner wie zum Trost
Das Echo, anonym, »Ich war dabei…«

Poesie dall’inizio – 28) Zanzotto

Un mondo isolato, recluso di “fragili Italie”. Anche se il contesto appare mutato (dal secondo conflitto a oggi), la chiusura forzata appartiene allo stesso sostrato. Tra precarietà e “giochi vuoti” si annida il grande pericolo dell’oblio. Ogni identità si sfalda (“scinde gli ultimi / legami della mia sostanza) se nella mutazione non si riconoscono valori condivisi, un racconto, una storia.

Gianluca


Poesie dall’inizio – 28) Zanzotto

zanzotto

Atollo

Un sole che con oziosi giri
sedusse e divorò l’ombra del mondo
e crebbe sui giorni e sui mesi
già stringe il muro ed il cortile
scruta le differenze d’ago
della sabbia dei piccoli castelli
e brilla da mille bandiere
da scudi e da porte
dagli angoli dei morti.
Tra quei precari monumenti,
io là vi collocai, fragili Italie
i cui minuti segmenti
avido sale stinse,
la brace là s’indovina
dell’insetto e del libro,
là tra i giochi vuoti e pericoli
al silenzio si appoggiano le clausole
della mia memoria infelice
e monti decrepiti affidano
alla sabbia insensibili sfaceli,
la sabbia senza parsimonia
colma i volti e i sorrisi
spegne l’oro dei suoni.

Già il sole penetra per le
cieche gallerie delle finestre
sugge e scinde gli ultimi
legami della mia sostanza.

(Andrea Zanzotto, Le poesie e prose scelte, Milano, 1999)

Poesie dall’inizio – 27) Anedda

Tra avvicinamento e distanza si nota un’ambivalenza, dovuta all’apprensione per un “futuro” che, comunque si staglia dal passato, quasi in una scenografia di spettri: “il futuro schiude vapore / come dalla storia l’opaco marmo di un tempio”. Tutto si rischiara e contemporaneamente si oscura, ogni evento è un brandello che nel tempo della sua emersione si rovescia nel proprio opposto. Fino alla constatazione decisiva del finale, nell’irrimediabilità della “notte intera che tesse un grande spazio” e non si fa troppe illusioni  sul “silenzio del silenzio” (ancora un raddoppiamento, stavolta potenziale) “che sbarrerà domani la finestra”.

Gianluca


Poesie dall’inizio – 27) Anedda

anedda

Avvicinati. Il raggio della sera si compie
contro il nero del tavolo, la lampada batte buio e luce
prima di spezzarsi nel tuono.
Non avvicinarti, il futuro schiude vapore
come dalla storia l’opaco marmo di un tempio.
Tutto è bianco:
il rovescio dei nostri visi nelle foto
la terra rischiarata dalla duplice vela dei lenzuoli.
Prendi una strada obliqua che basti un bagliore a definire
una quiete – sottile unione del lutto –
visione sotterranea di un fiume sotto l’intreccio delle dita.

Nel vento di queste sere non esiste che vento.
Mi hai chiesto di trattare il desiderio
come se fossi forte quanto il tempo che scuote.
Così entra l’inverno quaranta volte vissuto come tenebra
notte intera che tesse un grande spazio
silenzio del silenzio che sbarrerà domani la finestra.

(Antonella Anedda, Notti di pace occidentale, Roma, 1999)

Poesie dall’inizio – 25) Zuccaro

Con tutta l’umiltà, abbracciamo il mondo, il vero ricovero è il suo petto, la nostra agnizione.

Gianluca


Poesie dall’inizio – 25) Zuccaro

zuccaro

Al mondo

Io sono una tua creatura.
La mia natura
l’ho intuita in te al primo sguardo
e da quando ti ho riconosciuto
ho iniziato a vivere.
Non pretendo di sapere i tuoi segreti,
il viaggio che conduci per una strada
larga e frequentata
che non sempre porta al mio sentiero,
ma vorrei ricoverarmi nel tuo petto
e ascoltare quel battito sicuro
che non ho mai sentito
che dice

“sei viva
———–stai calma
————————mi appartieni”.

(Teresa Zuccaro, Al mondo, Venezia, 2006)

Poesie dall’inizio – 24) Heaney

Come in un racconto fuori tempo massimo, qualcosa si spezza, tutto appare in balia. Abbracciamo la terra “in extremis” anche se ciò che avviene è già “visione”.

Gianluca


Poesie dall’inizio – 24) Heaney

heaney

L’isola che scompare

Quando abbiamo presunto di fondarci per sempre
Fra le sue colline azzurre e quelle spiagge senza sabbia
Dove la nostra notte disperata passò in veglia e preghiera,

Quando avevamo radunato sfasciumi di mare, fatto un fuoco
E appeso il nostro calderone come un firmamento,
L’isola si è spezzata sotto di noi come un’ondata.

La terra che ci sosteneva sembrò restare ferma
Solo quando l’abbiamo abbracciata in extremis.
Tutto quello che allora avvenne credo fosse visione.

(Seamus Heaney, La lanterna di biancospino, Parma, 1999, a cura di Francesca Romana Paci)

*

The Disappearing Island

Once we presumed to found ourselves for good
Between the blue hills and those sandless shores
Where we spent our desperate night in prayer and vigil,

Once we had gathered driftwood, made a hearth
And hung our cauldron like a firmament,
The island broke beneath us like a wave.

The land sustaining us seemed to hold firm
Only when we embraced it in extremis.
All I believe that happened there was a vision.

Poesie dall’inizio – 23) Pagliarani

È tutto in quel “grido” che l’autore ruba al “tranviere” il senso del componimento. Lo facciamo noi nostro? e nostra la vergogna e l’ira di “esser uomo” che “può morire per follia dell’uomo”? L’appartenenza collettiva è nella consapevolezza di poter fare del male.

Gianluca


Poesie dall’inizio – 23) Pagliarani

pagliarani

Peste come il vento

———————————-Da Roma sorge
chi ne ha il diritto, il grido d’un tranviere:
«Chi darà sepoltura in pochi giorni
ai corpi delle bestie e degli uomini
con il cancro nel sangue? Allora peste
veloce come il vento farà volo
e non c’è Dio che tenga»
. Io mi vergogno
non d’amarti, mia vita, primavera,
ricambio del mio corpo: d’esser uomo
che può morire per follia dell’uomo
ho grande ira nei polsi e mi vergogno.

(Elio Pagliarani, Tutte le poesie, Milano, 2019)

Poesie dall’inizio – 22) Celan

Una vicinanza che è anche distanza, una “Vita” a cui ci si stringe, per quanto monca, dimezzata e che coincide con “Nessuno”. E sola con se stessa, la parola, dovrà restare per riconoscere e accogliere questa esistenza col suo “moncherino”.

Gianluca


Poesie dall’inizio – 22) Celan

celan

Stretto guancia a guancia a Nessuno –
a te, Vita.
A te, trovata
con il moncherino.

Voi, dita.
Distante, durante il cammino,
ai crocevia, talvolta
la sosta
con membra sciolte sul
polveroso cuscino
del Passato Lontano.

Legnosa provvista del cuore: il
servo d’amore e di luce
che lentamente brucia.

Una fiammella di mezza
menzogna ancora
in quello o questo
assonnato poro
che voi sfiorate.

Rumor di chiavi, sopra,
nell’albero
di respiro sopra di voi:
ora l’ultima
parola che vi guardò
dovrà restare sola con se stessa.

………………………………….

Stretto a te, trovata
con il moncherino,
Vita.

(Paul Celan, Poesie, Milano, 1998, a cura di Giuseppe Bevilacqua)

*

An niemand geschmiegt mit der Wange –
an dich, Leben.
An dich, mit dem Handstumpf
gefundnes.

Ihr Finger.
Fern, unterwegs,
an den Kreuzungen, manchmal,
die Rast
bei freigelassenen Gliedern,
auf
dem Staubkissen Einst.

Verholzter Herzvorrat: der
schwelende
Liebes- und Lichtknecht.

Ein Flämmchen halber
Lüge noch in
dieser, in jener
übermächtigen Pore,
die ihr berührt.

Schlüsselgeräusche oben,
im Atem-
Baum über euch:
das letze
Wort, das euch ansah,
soll jetzt bei sich sein und bleiben.

………………………………….

An dich geschmiegt, mit
dem Handstumpf gefundenes
Leben.

Poesie dall’inizio – 21) Michaux

Ancora una fine, ancora la fine. Un altro giorno, “questo giorno” e un altro che “s’inabissa” insostenibile. Dal passato, una voce si arresta, la parola (Celan, il mondo) è spezzata dalla “lunga lama fluente dell’acqua”.

Gianluca


Poesie dall’inizio – 21) Michaux

michaux


Sulla morte di Paul Celan

…………………………………………………………………….

Senza che gli uomini parlino, lapidato dai loro pensieri

Un altro giorno di livello più basso. Gesti senz’ombre
Su quale secolo ci si dovrà chinare per vedersi?

Felci, felci, si direbbero sospiri, da ogni parte sospiri
Il vento disperde le foglie staccate.

Potere delle barelle, un milione ottocentomila anni fa si nasceva
già per marcire, per perire, per soffrire

Questo giorno, già ne abbiamo avuti di simili,
quantità grande di simili

giorno in cui s’inabissa il vento
giorno di pensieri insostenibili

Vedo quegli uomini immoti
sdraiati sulle chiatte

Partire.
In ogni modo partire.

La lunga lama fluente dell’acqua arresterà la parola.

(Henri Michaux, Brecce, Milano, 1984, a cura di Diana Grange Fiori)

*

Le jour, les jours, la fin des jours (Méditation sur la fin de Paul Celan)

……………………………………………………………………

Sans qu’ils parlent, lapidé par leurs pensées

Encore un jour de moindre niveau. Gestes sans ombres
A quel siècle faut-il se pencher pour s’apercevoir ?

Fougères, fougères, on dirait des soupirs, partout, des soupirs
Le vent éparpille les feuilles détachées

Force des brancards, il y a dix huit cent mille ans on naissait
déjà pour pourrir, pour périr, pour souffrir

Ce jour, on en a déjà eu de pareils
quantité de pareils

jour où le vent s’engouffre
jour aux pensées insoutenables

Je vois les hommes immobiles
couchés dans des chalands

Partir.
De toute façon partir.

Le long couteau du flot de l’eau arrêtera la parole.

Poesie dall’inizio – 20) Larkin

Interruzione e inizio. Ma di che? se continuiamo a essere “smarriti dietro le finestre”. Qualcosa arriva, qualcosa se ne va. La sempre ritornante dimenticanza di ciò che è stato, il sempre ritornante “risveglio desolato” in uno “stordimento della memoria”.

Gianluca


Poesie dall’inizio – 20) Larkin

larkin

Dimentica quello che è successo

Inter­rom­pere il diario
fu uno stor­di­mento della memoria,
fu un vacuo inizio,

non più cicatrizzato
da parole e azioni simili
a quelle d’un deso­lato risveglio.

Le rivo­levo indietro,
sol­le­ci­tate per la sepoltura
e pas­sate in ras­se­gna nella mente

come guerre e inverni
smar­riti die­tro le finestre
di un’opaca infanzia.

E le pagine vuote?
Doves­sero mai essere riempite
che lo siano osservando

ricor­renze celestiali,
il giorno in cui i fiori arrivano
e quando gli uccelli se ne vanno.

(Philip Larkin, Finestre alte, Torino, 2002. Traduz. di Enrico Testa)

*

Forget What Did

Stopping the diary
Was a stun to memory,
Was a blank starting,

One no longer cicatrized
By such words, such actions
As bleakened waking.

l wanted them over.
Hurried to burial
And looked back on

Like the wars and winters
Missing behind the Windows
of an opaque childhood.

And the empty pages?
Should they ever be filled
Let it be with observed

Celestial recurrences,
The day the flowers come.
And when the birds go.