
Marco Simonelli
di Gianluca D’Andrea
Poeti italiani (3) – Spazio inediti: Marco Simonelli
La somma dei miei mali opprime il plesso
ostruendo le vene e poi l’arterie;
questo male la testa ha compromesso,
ridotta in condizione più che serie.
Il sesso è quella cosa ch’apre e chiude
il respiro, il coraggio addormentato
che, sveglio, salta, corre e non delude
qual cucciolo di cane appena nato.
Ma quando poi si fa licantropia,
mensile vocazione a distruzione
allarme accende, pulsa rossa spia
a segnalar di mente distrazione.
Non è bussola questo strano cuore
ma timer, ordigno, contatore.
(da Will – 24 sonetti, Edizioni d’If, Napoli, 2009)
«Intendo parlare d’un turbamento elementare,
la cui essenza è il disordine, il travolgimento».
G. Bataille
La serie amorosa dei sonetti, da cui il testo è estrapolato, immette al trasporto relazionale. Il componimento presentato, in particolare, è il sintomo della traslazione affettiva che l’individuo compie e proietta all’esterno, evidenziando con l’esposizione della propria libido, la pulsione erotica che sembra rappresentare la vita delle società: il fondo mortuario o caotico della libera espressione estatica, concentrata sul versante dionisiaco della contemplazione. Lontano da ogni concezione “estetizzante”, l’arte (di cui il sesso è allegoria nel testo presentato), manifesta le ambivalenze necessarie dell’esistenza, la sua potenza «ch’apre e chiude/ il respiro» e che si accompagna alla «vocazione a distruzione» dello stesso esistere. Il quadro costruttivo/distruttivo si espande, con uno sforzo etico tendente all’emancipazione del genere sessuale, altra maschera di libertà espressiva e verità, quasi gnoseologica, del fare poetico.
A un passo dall’esplosione s’interrompe l’ordigno testuale, la cui conflagrazione, sempre possibile, annienterebbe la facoltà artistica del linguaggio di sviluppare nuove apparizioni estatiche, nuove prospettive o epifanie d’esperienza ovvero di continuare il percorso ritmico dell’esistere, il respiro.
Il ciclo dei sonetti, la forma chiusa tradizionale dell’amore, non fa che rilevare il carattere necessario e concluso di una tappa esperienziale del soggetto, come in un resoconto memoriale. Anche la formazione circostanziale del ciclo sarà inevitabilmente sottoposta alla necessità successiva del travolgimento, del nuovo inizio.
Il diciassette barrato, la pioggia di novembre
ci sorprende sui viali deserti all’improvviso.
Sale, lui, completamente asciutto
e senza ombrello, sfavato, sfasato
e tuttavia scafato, abituato
ai malefìci urbani durante questi freddi.
Con tutti i posti liberi si siede accanto a me
(e sono più che certo sia salito
sprovvisto di biglietto). Si direbbe
un bel ragazzo, davvero, uno di noi
un altro sconosciuto sopra il bus
che cerca solo di tornare a casa.
Con le cuffiette bianche dell’iPod,
il piercing ovviamente al sopracciglio
un’incoscienza giovane e beota di tamarro
pronto a credersi il più figo della terra,
coi suoi calzini bianchi da sportivo
che coprono odorosi lo zoccolo caprino.
(Inedito)
Nuovo inizio che l’inedito qui offerto preannuncia sin dall’esordio, in cui l’ambientazione in uno spazio comune, pubblico, ha la funzione di turbare l’artefatto formale del primo testo, l’impostazione estetica residua di un genere. Si ha la rielaborazione (e riabilitazione) della forma nelle possibilità di sfasatura rispetto a un dettato che si fa “normale” e riesce a cancellare le tracce manieristiche o, se si vuole, post-moderne, artate, osservate in precedenza. Gli artifici presenti – come le paronomasie «sfavato», «sfasato», «scafato» – in questo caso, introducono la riscoperta epifanica del mondo attraverso un’esperienza, abbiamo visto assai banale: i «malefici urbani» sono il campo magico d’attrazione di un soggetto all’erta, che riesce a intravedere nell’alterità una comunione d’obiettivi («uno di noi/ un altro sconosciuto sopra il bus/ che cerca solo di tornare a casa»). Il luogo comune della maschera, nell’ambito dell’inedito, non va “smascherato”, come invece avveniva nel sonetto precedente, poiché l’esposizione esibita del proprio sé – per quanto martoriato – può offrire solo ulteriori conferme allo scandalo dell’esistere, alla sua sovrastimata mostruosità, che rischia di restare in questo modo inafferrabile, non rinnovabile, concluso nella sua maniera inerte.
Abbassandosi all’ambiente il soggetto trova la sua espansione e scopre il vero sotto il reale, l’estasi d’origine: «Con le cuffiette bianche dell’iPod,/ il piercing ovviamente al sopracciglio/ un’incoscienza giovane e beota di tamarro/ pronto a credersi il più figo della terra,/ coi suoi calzini bianchi da sportivo/ che coprono odorosi lo zoccolo caprino».
Il percorso di Simonelli sembra attestarsi sulla comprensione degli eventi comuni, è in procinto di riscoprire una nuova umiltà; l’esibizione del corpo testuale, avvertita come necessaria nelle prime prove, si scioglie nell’immersione contestuale, si accinge ad abbandonare il testo unico della teatralità a favore di un testo multiforme (o “multitesto”) della collettività.
(Settembre 2014)
Marco Simonelli, poeta, traduttore e performer. È nato nel 1979 a Firenze, dove vive. Ha esordito col racconto in versi Memorie di un casamento ferroviere del ’66. Del 2004 è il poemetto drammatico Sesto Sebastian – Trittico per scampata peste riscrittura omoerotica del martirio di San Sebastiano: dal testo è stata tratta una performance vocale. Nel 2007 è uscito Palinsesti – Canzoniere Catodico. Nel 2009 vince il premio Russo – Mazzacurati con Will – 24 sonetti. Per Massimo e Pierce di Black Sun Productions ha scritto i testi di Hotel Oriente, poema per voce ed elettronica. Nel 2011 è uscito L’estate sta finendo e nel 2012 Firenze Mare è apparso in Poesia Contemporanea. Undicesimo Quaderno Italiano.
Mi piace:
"Mi piace" Caricamento...