
Erdogan, Atatürk e una ricostruzione di Costantinopoli
di Gianluca D’Andrea
In caso: L’apprensione di stare insieme – MUSTAFA KEMAL
In caso mi accorgo che mi piace guardarle le persone, che il trasporto dipende dal legame implacabile e avvertibile quando la nostra fragilità è scoperta. Quando è impossibile distrarsi e si cerca l’abbandono, solo l’appartenenza all’altro attenua la disperazione, il fatto banale che l’altro sia lì, che ci sia una finestra da cui osservare la nostra distanza, prima di ricadere completamente nei movimenti di tutti. Dolore e gioia sono zone del privilegio e dell’assenza, il corpo si trasforma in un blocco, in una mappa chiarissima con al centro la freccia della sofferenza, oppure un alone senza punti perché l’orientamento non serve e la gioia si espande fluida, invasiva, espropriante. Allora insorge il trasporto perché è troppo essere centrati e decentrati allo stesso tempo, è necessario dimenticare ed esercitare la caduta nell’altro, per accedere a qualcosa che assomiglia al vero, al nulla che completa il nostro nulla.
MUSTAFA KEMAL
Ci fosse un’altra strada per volare
da un luogo a un altro,
da un’Europa a un’altra Europa
pensando al Medio Oriente
come un luogo di notti stellate.
Invece il principio dell’agonia
passa proprio dall’aderenza
di questi mondi antichi. Il velo
della civiltà e il dialogo con gli accordi
e l’interesse, tutto soffocato
nella massa di sempre possibili ideologie.
Ma oggi che l’idea potrebbe
sciogliersi nell’impatto materico
di contatti più rapidi e efficaci,
sono proprio i luoghi di contatto
a essere assediati. I punti di scambio
sono fragili, molto meglio continuare
a osservare e verbalizzare
dallo schermo-filtro che consente
una cernita veloce e indolore
delle amicizie e della loro scomparsa.
Almeno continuo a vivere
almeno continuo a vivere
dentro la mia casa-bunker,
le belle inferriate e gli antifurto
occhiuti, mi sotterro
per non morire, perché le ali no,
la libertà no, niente si prende
tutto si punisce.
“Giungemmo a una città di bellezza
inenarrabile”, Costantinopoli non è distrutta
ma 44 vite umane terminate
e altre sofferenti per un’ombra,
per vapori immaginari di cui
da millenni non si smaltisce la sbornia
e per la storia recente, di aperture e chiusure –
Kemal/Erdogan – e tutta l’ambiguità
che il vecchio mondo scaraventa sul nuovo.
Gianluca D’Andrea
NOTA
28 giugno 2016, strage terroristica all’ aeroporto di Istanbul-Atatürk.
“Giungemmo a una città di bellezza / inenarrabile”, Cosma I, vescovo di Costantinopoli nel X sec.