
Gianluca D’Andrea, Trasposizione (o l’identità del poeta), dalla raccolta Transito all’ombra, Marcos y Marcos
Sorgente: Audio Rai.TV – Fahrenheit – La poesia del giorno del 27/10/2017
Gianluca D'Andrea – Nothing that is not there and the nothing that is (W. Stevens)
Nothing that is not there and the nothing that is (W. Stevens)
Gianluca D’Andrea, Trasposizione (o l’identità del poeta), dalla raccolta Transito all’ombra, Marcos y Marcos
Sorgente: Audio Rai.TV – Fahrenheit – La poesia del giorno del 27/10/2017
Gianluca D’Andrea, Notturni VII, dalla raccolta Transito all’ombra, Marcos y Marcos
Sorgente: Audio Rai.TV – Fahrenheit – La poesia del giorno del 26/10/2017
Gianluca D’Andrea, Notturni II, dalla raccolta Transito all’ombra, Marcos y Marcos
Sorgente: Audio Rai.TV – Fahrenheit – La poesia del giorno del 25/10/2017
Gianluca D’Andrea, Altro dittico II, dalla raccolta Transito all’ombra, Marcos y Marcos
Sorgente: Audio Rai.TV – Fahrenheit – La poesia del giorno del 24/10/2017
Gianluca D’Andrea, Altro dittico I, dalla raccolta Transito all’ombra, Marcos y Marcos
Sorgente: Audio Rai.TV – Fahrenheit – La poesia del giorno del 23/10/2017
Oggi su L’EstroVerso il terzo articolo della mia nuova rubrica THE ROCK – La poesia che r-esiste
«Di fatto, ci percepiamo sempre e solamente
come pastosi fantasmi, sculture nella nebbia,
scheletri addobbati alla moda con della carne».
Durs Grünbein
Il primo assillo è temporale, cruccio esistenziale e viatico indispensabile della poesia; il sostegno e la croce di questo importante libro di poesia che è Il grande innocente (Aragno, «i domani», Torino, 2017) di Gabriel Del Sarto.
Per chi ha familiarità con l’opera dell’autore toscano, potrà scorgere un’evoluzione stilistica rispetto a I viali e a Sul vuoto (le due raccolte precedenti) – e infatti Il grande innocente va a chiudere una “trilogia del tempo” come ci dice lo stesso Del Sarto in nota –, una trasformazione dell’impianto concettuale che traduce la voglia di stabilire un contatto più duraturo col mondo. La necessità “ripristinante” presente sin dagli esordi («noi colle amarene Fabbri sul gelato allo yogurt / mentre ripristiniamo scene bibliche», A 3 km., Gabriel, in I viali, Ed. Atelier, 2003, p. 10) cerca approdi e trova nel ricordo una momentanea sistemazione. Ricordo che, nel caso di quest’ultima raccolta, non si limita a condividere quelle esperienze personali che tanto hanno contraddistinto la poesia di Del Sarto (la dimensione “patetica” del linguaggio sembra adesso incrociarsi con un distacco che allontana il soggetto, quasi ridotto a presenza fantasmatica), ma affonda nell’impersonale delle ere, delle stratificazioni e delle pieghe ctonie, minerali: «Esiste quasi / da sempre anche l’Anticlinale, / è una piega / delle rocce, una struttura / dove gli strati sono convessi…» (Il tempo e la vita, p. 7).
Oggi su L’EstroVerso il secondo articolo della mia nuova rubrica THE ROCK – La poesia che r-esiste
L’entropia del linguaggio impatta sin dagli esordi in questa nuova raccolta di Davide Castiglione. Non di fortuna, ma quasi, se il frazionamento avvertibile nel primo lavoro – Per ogni frazione, Campanotto, Udine, 2010 – del poeta piemontese (nomade, e per ora di stanza a Vilnius) sembra adesso ricercare una fuoriuscita nei casi di un’esistenza arricchita d’incontri: «Devo a un lunapark congelato / qualche gettone d’antecrisi / quando era la vacanza non io a condurmi» (Devo a un lunapark congelato…, p. 5).
Entropia, dicevamo, che la parola prova ad arginare riconsiderando tempi (vedi la ricorrenza del termine, soprattutto nella prima sezione introduttiva), costruendo spazi “privati” (titolo della seconda sezione) e valutando i corpi – «è un corpo / per terra; tòrto; terminale. / Capiterà di pestarlo; passare / l’aspirapolvere la spugna e via» (Ape, p. 20) – transitanti come se i luoghi, una volta attraversati, perdessero ogni fondamento: «Tempo in là (aeroporto / lenti appannate non un saluto / da portarle e dirsi addio / non serve a nessuno» (Quanto e quanto poco, p. 23).
La nuova rubrica di poesia di Zest a cura di Gianluca D’Andrea
Cenere, o terra, Fabio Pusterla
Agli albori dell’opera di Fabio Pusterla è subito avvertibile la tendenza allo scavo nelle potenzialità “erosive” della lingua che, nelle sue capacità espressive e comunicative, manifesta la necessità di testimoniare.
L’indizio cogente di questa scrittura tensiva, nervosa – per niente pacificata sotto il velo di una sintassi lineare e di un lessico “comune” – è il ritmo. L’accumulazione retorica è il tratto stilistico più evidente, spiegabile nella spinta etica che, pur scontrandosi con l’alterità, cerca strategie di “rimedio”, adattamenti del soggetto alla mutazione del contesto. Agonismo di chi non si arrende alle forze contrarie – esterne, ctonie – ma con i coaguli delle “stesse” parole rilancia il suo assillo: offre una risposta al possibile silenzio, conglomera, per non cedere.
Oggi su L’EstroVerso il primo articolo della mia nuova rubrica THE ROCK – La poesia che r-esiste
«E io non sono ancora nata» (I dolori piccoli (quelli delle caviglie e dei polsi), III, p. 47), è questa plausibilità di spinta a muovere la scrittura nella nuova raccolta di Maddalena Bergamin.
L’ultima volta in Italia, seconda uscita della collana Lyra giovani, a cura di Franco Buffoni per la casa editrice Interlinea (Novara, 2017), già dal titolo manifesta un passaggio, una transizione esistenziale – l’autrice, d’altronde, nel 2012 si è trasferita a Parigi – che si riflette in un disagio della parola, nel tentativo di ri-definire il proprio mondo. Fosse solo questo, la raccolta sarebbe un capitolo di un “personalissimo” romanzo di formazione, invece la transizione di cui sopra, apre a uno spostamento più ampio, generazionale, nell’intercapedine della relazione tra io e mondo.
Gianluca D’Andrea, Perugia (sud?), dalla raccolta Transito all’ombra, Marcos y Marcos
Sorgente: Audio Rai.TV – Fahrenheit – La poesia del giorno del 01/09/2017