Dall’inizio (Tiziana Cera Rosco)

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Tiziana Cera Rosco

Su L’Estroverso Tiziana Cera Rosco per la rubrica Dall’inizio. Di seguito un estratto.

Due categorie di immagini su tutto.
Entrambe nella terra che mi ha cresciuta, l’Abruzzo, con la sua doppia natura di bestiario e di Bibbia.
Una riguarda gli animali. Ci fu un’aquila trovata in mezzo al bosco. Ero piccola, avrò avuto 4/5 anni e lei gigantesca. Le avevano tagliato le ali. Un’aquila tutta torso. Ma gliele avevano lasciate accanto, in una posizione di apertura totale. Poi l’uccisione del maiale, le sue grida a fiotto aperto lì dove stava avvenendo tutto, lo scolo del sangue fino all’ultima goccia ed io che sognavo il sangue assorbito dalla terra riemergere dal fondo del lago a macchiarci tutti con dei lividi e vedevo Dio venire fuori dalle salsicce. Un lupo avuto da ragazzina, i nostri appuntamenti segreti e silenziosi che è stato tutto quello che per molto tempo ho saputo dell’amore.
La seconda categoria, un Cristo rimasto in piedi nella chiesa crollata con i terremoti. Un Cristo che è stato il primo vero corpo che potevo guardare mentre al mattino presto le vecchie nere del paese pregavano, biascicando come pipistrelli al buio, quel nudo fermo, bellissimo, con le mie stesse ginocchia. Sanguinante, silenzioso, compassionevole. Mi pervadeva.

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E ho sempre pensato che la verità alla fine fosse così. Una verità che ritrovi nelle macerie, un miracolo sanguinante e purissimo che contemporaneamente confinava con le prede e i predatori del parco. Vicino la chiesa c’era lo strapiombo della foce del fiume da cui arrivava lo scroscio durante le preghiere. E da lì partiva il bosco.

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Ho sempre avuto un grande Tu dentro di me e il mio luogo mi ha determinato sempre più profondamente.
La poesia è ed è stato l’animale da cui ho imparato un linguaggio comprensibile dentro queste cose, con in più una violenza avuta da bambina che ho codificato nel tempo, perché la mia memoria scolava dentro il corpo quello che non voleva ricordare. La poesia è stato ed è l’animale che confina direttamente con Dio, che ti porta sul dorso ma che sfugge anche, che devi saper ben guardare negli occhi ma che puoi farlo solo nei momenti in cui il rischio è altissimo perché tra l’essere amati e l’essere sbranati, il passo è appena un po’ più violento nell’amore.
Sono sempre stata un covo di segni, involontari e volontari.

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Poesie dall’inizio – 20) Larkin

Interruzione e inizio. Ma di che? se continuiamo a essere “smarriti dietro le finestre”. Qualcosa arriva, qualcosa se ne va. La sempre ritornante dimenticanza di ciò che è stato, il sempre ritornante “risveglio desolato” in uno “stordimento della memoria”.

Gianluca


Poesie dall’inizio – 20) Larkin

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Dimentica quello che è successo

Inter­rom­pere il diario
fu uno stor­di­mento della memoria,
fu un vacuo inizio,

non più cicatrizzato
da parole e azioni simili
a quelle d’un deso­lato risveglio.

Le rivo­levo indietro,
sol­le­ci­tate per la sepoltura
e pas­sate in ras­se­gna nella mente

come guerre e inverni
smar­riti die­tro le finestre
di un’opaca infanzia.

E le pagine vuote?
Doves­sero mai essere riempite
che lo siano osservando

ricor­renze celestiali,
il giorno in cui i fiori arrivano
e quando gli uccelli se ne vanno.

(Philip Larkin, Finestre alte, Torino, 2002. Traduz. di Enrico Testa)

*

Forget What Did

Stopping the diary
Was a stun to memory,
Was a blank starting,

One no longer cicatrized
By such words, such actions
As bleakened waking.

l wanted them over.
Hurried to burial
And looked back on

Like the wars and winters
Missing behind the Windows
of an opaque childhood.

And the empty pages?
Should they ever be filled
Let it be with observed

Celestial recurrences,
The day the flowers come.
And when the birds go.