Su “Transito all’ombra” di Gianluca D’Andrea: Saggio di Davide Castiglione su In realtà, la poesia

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di Davide Castiglione

Su “Transito all’ombra” di Gianluca D’Andrea: progettualità, diegesi, tangenze

È chiaro fin dall’esergo di Mandel’štam che due saranno gli elementi precipui attraversati in questo ultimo lavoro di Gianluca D’Andrea, Transito all’ombra (il titolo, ci ricorda lo stesso autore, è un omaggio a Wallace Stevens, che nel 1947 pubblicò Transport to Summer): il primo è il tempo, a sua volta dialetticamente composto di tempo storico-sociale e personale-archetipico, come messo in evidenza, direi programmaticamente, dal titolo della prima sezione (“Il tempo, i ricordi”); tema già rilevato da altri commentatori, per esempio da Gian Ruggiero Manzoni quando scrive che “la storia d’insieme pare, di continuo, collassare e rimandare a quella di se stessi, del singolo”[1]. Il secondo nodo, molto più nascosto, più attitudine che tematica, è tutto nella volizione di quel voglio da Mandel’štam, che sembra ispirare lo sforzo strutturante-architettonico del libro e forse anche condurre a qualche sua deriva didascalica su cui mi soffermerò dopo – deriva che mi porta in parte a dissentire con Antonio Lanza quando scrive che è “venuto meno il rischio che una progettualità narrativa di ampio respiro appesantisca la materia poetica”[2]. Il compenetrarsi di biografia personale e storia collettiva notato da Gian Ruggiero Manzoni non va ovviamente letto nella prospettiva di una qualche discutibile emblematicità della vicenda dell’io. È piuttosto l’affidamento sincero a una epistemologia empirica, per cui la conoscenza del mondo arriva dai sensi e dall’esperienza anche quando quest’ultima è mediata dalla semiosi dei mezzi di comunicazione, che nella prima sezione fanno irruzione con saltuaria violenza. E al tempo stesso è forse leggibile come contro-reazione all’annullamento trasversale della Storia negli anni ’80, un decennio i cui strascichi ideologici ed emotivi sembrano arrivare fino ad oggi, come si legge in un bell’articolo di Andrea Cortellessa[3]. A tal proposito, è interessante notare come un coetaneo di D’Andrea, Matteo Marchesini, intitoli Cronaca senza storia la sua prima e per ora unica raccolta poetica, e che Andrea De Alberti nel recente Dall’interno della specie guardi al presente dalla lente remota dei tempi evolutivi. Recupero dialettico della storia in D’Andrea, constatazione amaro-ironica della sua impossibilità in Marchesini, sua trascendenza laica tramite la scienza dell’evoluzione in De Alberti: strategie diverse, ma che rimettono la centralità della storia nei versi.

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Transito all’ombra su Atelier (cartaceo) nell’interpretazione di Antonio Devicienti

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Elaborazione grafica di Gianluca D’Andrea

Transito all’ombra su Atelier (cartaceo) nell’interpretazione di Antonio Devicienti

Gianluca D’Andrea: non è di me che voglio parlare

Antonio Devicienti

Il libro di Gianluca D’Andrea Transito all’ombra (Marcos y Marcos, Milano, 2016) possiede una compattezza stilistica e tematica che rispecchia la scelta nel contempo etica ed estetica effettuata dall’autore; non ci si aspetti dunque un’opera indulgente con le attese di lettori un po’ sprovveduti, ma neanche attestata su livelli di rarefazione snobistica della parola poetica – c’è un Maestro che accompagna i passi dell’autore, che lo ispira e sostiene in un dialogo con- tinuo, discreto ed efficace, grazie al quale una tradizione nobilissima si lega a una modernità consapevole e problematica: l’Alighieri. E Transito all’ombra è altresì referto d’un attraversa- mento, d’un itinerario, d’un ininterrotto andare, proprio sulla falsariga dell’andare dantesco e attraverso territori che sono di volta in volta memoriali, psicologici, culturali, storici, politici. Se è vero che ancora adesso la produzione poetica italiana può essere anche interpretata a seconda ch’essa si approssimi più o meno a una linea petrarchesca o a una linea dantesca, Gianluca D’Andrea compie con il suo libro più recente un coraggioso tentativo di riappro- priarsi della dirittura e del rigore etici danteschi per attraversare il mondo e l’Italia contempo- ranei anche tramite uno stile severo, privo d’infingimenti lirici, “petroso” come mezzo d’indagine impietosa, che mai indulge a languori, intimismi, vezzi letterari. Infatti l’autore si misura con la difficilissima e insidiosa questione del soggettivismo e dell’io in poesia, mette in gioco tutto di se stesso (ricordi, esperienze, luoghi cui è legato, persone care), ma sa sot- trarsi alle cadute (o ai capitomboli) proprio in virtù d’uno stile sorvegliatissimo, capace di diventare acuminato scandaglio, intelligente lente d’osservazione, giusta distanza tra io scri- vente e realtà osservata.

Poeta e critico coltissimo e consapevole, Gianluca D’Andrea possiede strumenti intellet- tuali e psicologici di perfetta caratura per effettuare l’itinerario di Transito all’ombra; egli non intende, quindi, stabilire un’eventuale filiazione o derivazione o subordinazione del lavoro “da” e “a” modelli preesistenti, ma costituire propriamente un alveo contemporaneo fecon- do e stimolante: leggendo alcune pagine del libro ci si sente accompagnati non solo da Dante, ma anche da Fabio Pusterla (Aprile 2006. Cartoline d’Italia), da Vittorio Sereni (L’Italia una sterminata domenica), da Franco Buffoni (penso, in particolare, a certe soluzioni e a certi temi contenuti in Roma), senza dimenticare le concomitanze dantesche con Luzi o con Zanzotto.

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