LO STRAORDINARIO VIAGGIO DI T.S. SPIVET

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Una scena dal film LO STRAORDINARIO VIAGGIO DI T.S. SPIVET

di Francesco Torre

LO STRAORDINARIO VIAGGIO DI T.S. SPIVET

Regia di Jean-Pierre Jeunet. Con Kyle Catlett (T.S.), Helena Bonham Carter (la madre), Callum Keith Rennie (il padre), Judy Davis (Jibsen).
Francia 2013, 105’.

Distribuzione: Microcinema.

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Esibirsi continuamente nell’arte della sorpresa visiva può rivelarsi un esercizio sterile se non addirittura controproducente quando questa non è funzionale a una storia, veicolo di un’emozione o autentica espressione di un’ossessione autoriale. E’ l’applicazione di un semplice principio chimico (e la chimica, si sa, è all’origine del cinema): giocare con la tavola degli elementi senza un disegno unitario o un obiettivo ben definito può provocare reazioni indesiderate, anche molto pericolose. E pericoloso lo è, Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet, innanzitutto per l’autore dell’esperimento, il regista Jean-Pierre Jeunet, ancora alla disperata e vana ricerca della formula del successo, mai più ritrovata dopo Il favoloso mondo di Amélie.
T.S. Spivet è un bambino prodigio. Nello sperduto angolo del Montana in cui vive con la famiglia, ama esercitarsi con esperimenti scientifici e disegni tecnici, e la sua mente tende a creare continuamente straordinarie fantasie. Queste inclinazioni, però, non sempre vengono assecondate, soprattutto dopo l’incidente nel fienile che ha provocato la morte del fratello gemello Layton, un evento di cui il bambino si sente responsabile. Così, quando l’Istituto Smithsonian di Washington D.C. avvisa per telefono T.S. di essere il vincitore, con i propri studi sul moto perpetuo, del prestigioso premio Baird, e lo invita nella capitale a ritirarlo, il bambino capisce di non poter sfuggire al richiamo dell’avventura, che è insieme fuga e percorso di formazione. Peccato, però, che allo Smithsonian non immaginino nemmeno che T.S. abbia solo 10 anni…
Entusiastico, saccente, irriverente ma sempre entro i limiti del buonismo, Jeunet infarcisce il primo atto di immagini oniriche, prospettive impossibili e transizioni creative. Sembrerebbe di essere nei territori del miglior Danny Boyle, quello di Millions e di The Millionaire, ma la sensazione dura poco. La bidimensionalità dei personaggi, la narrazione episodica, il gusto per l’effetto speciale (anche se artigianale, alla Gondry) identificano piuttosto l’operazione come un elogio della stravaganza, l’ennesimo tributo da versare in nome del truffautismo di maniera e della sua cultura/dittatura dell’immaginazione. Non ci vogliono dotti studi narratologici per annusare, sin dalle prime battute, la prevedibile disgrazia incombente sulla famiglia Spivet e tutto ciò che ne deriverà, happy end compreso. Più arduo, casomai, è accettare l’ostilità che il povero T.S. è costretto a fronteggiare in tutti gli ambienti, anche a scuola, dove invece ci si aspetterebbe che le sue straordinarie doti siano apprezzate e coltivate; oppure, giusto per fare un altro esempio, comprendere perché il bambino scelga un treno coast to coast per sbirciare il diario personale della madre piuttosto che compiere il misfatto (ma sarebbe stato troppo ordinario?) sotto il letto al lume di una torcia.
Il viaggio di T.S. dal Montana a Washington, su cui si fonda il nucleo della vicenda, resta comunque la parte migliore del film. Qui lo stile del regista sembra subire un processo di normalizzazione, e finalmente è l’azione a dettare il continuum narrativo, con l’introduzione di una serie di personaggi secondari che per fortuna sfuggono (a malapena) al principio di forzata stravaganza. Ma a distinguersi, al massimo, sono gli episodi. Elaborata “in vitro”, la dinamica emotiva interna al protagonista non pare mai nascere da un’urgenza, da autentico bisogno, e tutto sommato anche le scelte di casting sembrano rendere impermeabile l’accesso a quei sentimenti che farebbero anche parte del classico repertorio dell’infanzia (l’inadeguatezza, il senso di colpa), ma che qui sembrano come congelati a favore di una razionalità fin troppo esibita e di un’ironia che più volte sconfina nel cinismo. Un mondo di cartapesta, insomma, come le sagome umane a grandezza naturale, provenienti dal mondo della pubblicità e della pop art, con cui il piccolo T.S. si mimetizza per sfuggire all’inseguimento di un controllore sul treno.

La citazione:«Io sono il Leonardo del Montana».