GIANLUCA D’ANDREA – INEDITI (2003)
***
Una fuga,
un’astrazione pura,
una semplice rivolta
comportano un peso.
Un lasciapassare
distrutto.
***
È arrivato un nuovo gatto in casa mia.
Lo accarezzo una volta. Ossa
secche, distanti, col pelo arruffato.
Vive con noi dei giorni
in cui l’abitudine piace
ed i nostri polpastrelli
sono pronti a tastare
ogni osso distante.
***
La tua pelle,
tutte le particelle
delle tue ossa ascolto
scricchiolare ed ascolto
tutto del mondo che tieni nascosto
sotto il velo inscrutabile
della tua pelle.
Questo tuo muro
timoroso, indipendente
non chiede occhi addosso,
scorre rapido la libertà
che ami, difendi.
Non gli occhi ma l’udito
ha testato
le membra del bimbo
che mangiò dall’esperienza
e non seppe
l’innocenza stravolta, papà.
***
Ho guardato le dita di mio padre.
I polpastrelli del pollice
logorati, consunti dal lavoro.
Ho immaginato il fastidio
dell’accentuata sensibilità.
Nessun accendino a rotella,
per accendere un’altra sigaretta
può usare solo un accendino a scatto.
***
Ti fermi, spegni, scendi,
imbuchi, spingi, estrai.
Riaccendi, parti e intanto
l’uomo finestra scassina il tuo regno.
In ottanta secondi un’azione,
uno sguardo e un pensiero intaccano
il tuo soliloquio. Svogliatamente
analitico, quell’uomo ha contato
i tuoi gesti. Pure importa quel viso
e il movimento sprigiona
l’appartenenza comune a un istante
che distante dilegua.
***
Oggi è la festa
del viaggio della carne,
tonfo morbido spalle al letto,
rotule pavimento scricchiolio,
la dispersione il ciglio sull’occhiaia
l’umida sferzata il pene le labbra,
lo scalpiccio le suole
dal seme mattonella
al seme gomma dura,
tra capelli peli pubici e polvere
lo scontrino della coop
è un cartoccino
e ci gioca il gatto.