LEOPARDI (E DANTE) AI TEMPI DI INTERNET
Loro lo avrebbero utilizzato
«Che se da me ti storni,
E se l’aura tua pura avvivatrice
Cade o santa beltà, perché non rompo
Questi pallidi giorni?
Perché di propria man questo infelice
Carco non pongo in terra?
E in tanto mar di colpe e di sciaure
Qual altr’aita estimo
Avere a l’empia guerra,
Se non la vostra infino al sommo passo?
Altri amor biasmi, io no che se nel primo
Fiorir del tempo giovanil, non sono
Appien di viver lasso,
M’avveggio ben che di suo nume è dono».
(G. Leopardi, NELLA MORTE DI UNA DONNA FATTA TRUCIDARE COL SUO PORTATO DAL CORRUTTORE PER MANO ED ARTE DI UN CHIRURGO, vv. 127-140, 1819 ca.)
Un giovane Giacomo Leopardi mosso dai più alti ideali, impregnato di parole altrui (Dante è richiamato molte volte in tutta la canzone, non solo in questo lacerto), il più falso dei poeti, il più genuino.
Nel suo labirinto di formazione questa e altre espressioni (vedi anche: PER UNA DONNA INFERMA DI MALATTIA LUNGA E MORTALE) posseggono già, secondo il noto commento di Croce alle Operette morali, il “malsano” che troverà nei Paralipomeni della Batracomiomachia la sua più alta manifestazione.
Tutto parte da questa idea malevola dell’amore non conosciuto, da un astio senza requie nei confronti del mondo che rende Leopardi il più “umano” dei poeti, paragonabile forse solo a Dante che, ricordiamolo a puro titolo informativo, ebbe un percorso oscillante (come dimostra il rapporto con i figli), così come il pensiero di Leopardi si presenta ellittico. Dall’alto ideale infranto, da quel paradiso perduto, nascono le rovine che vengono attraversate in un percorso sempre “tentato” dal distacco più gelido, quasi automatico. Se Dante attraversa il tutto e ne fa, circolarmente, il fulcro e la redenzione del percorso stesso, riconoscendolo, Leopardi spacca la tradizione: non rompe solo il cerchio ma tronca anche la coda, non ricomincia, lascia in sospeso e “infinitamente” dice il nulla, la sospensione (o forse ricomincia ancora e ancora, da quel desiderio empio che precede qualunque esplosione). Dante scopre il tutto del tutto (l’amore della maternità nella generazione: «Donna, se’ tanto grande e tanto vali,/ che qual vuol grazia e a te non ricorre,/ sua disïanza vuol volar sanz’ali», l’amore come generazione, il desiderio come matrice) e conduce il desiderio al suo fine («ma già volgeva il mio disio e ‘l velle»), l’a-priori esperienziale di origine aristotelica (platonica, socratica, ecc.), Leopardi scopre il senza del tutto, l’anti-matrice, l’oltre-matrice, la serietà ridicola del respiro, la fusione e il naufragio in esso e, proprio nei Paralipomeni, l’attestazione, stilisticamente altissima, di questa scoperta: «Troverò quel che in parte inteso avete,/ al narrato dinanzi un corollario/ aggiungerò, se ancor legger vorrete./ Paghi del buon desio restate intanto,/ e finiscasi qui l’ottavo canto» (l’amore, che nella Commedia muove la luce e il tutto come principio in disparte conchiudendo il cerchio, qui si affaccia infinito in una relazione sospesa tra autore e lettore nella stessa lingua: l’ottavo canto). L’amore del cosmo resta il desiderio per il desiderio nell’attrazione-distrazione continua verso il nulla come amore (amore/fetore), prima dell’evento non è l’anelito ma il respiro nel suo movimento oscillatorio ed il più esclusivo dei poeti è anche quello che si è spinto oltre, il più inclusivo proprio perché non termina ed elimina anche ogni principio.
Come nei film di Michael Mann (penso in particolare a Collateral) tutto continua senza avere inizio, così nei Paralipomeni si continua una storia già stata che è la storia tragicomica del mondo, in un movimento che la perpetua senza dare risposte: «Ma noi, s’è fuor dell’uso, ogni pensiero/ assurdo giudichiam tosto in effetto,/ nè pensiam ch’un assurdo il mondo e il vero/ esser potrebbe al fral nostro intelletto:/ e mistero gridiam, perch’a mistero/ riesce ancor qualunque uman concetto,/ ma i misteri e gli assurdi entro il cervello/ vogliam foggiarci come a noi par bello».
In margine (ai nostri giovani critici come preghiera): La “mammella” in Dante e Leopardi, una supervisione delle occorrenze sarebbe plausibile? solo per poter verificare l’effettività dell’uso positivo nel primo e quasi spregiativo nel secondo, potrebbe giovare prima della non-fine.